Ucraina e il ricordo di Holodomor

di Paolo Tagliaferri – 13/03/2022

Da più parti, politici e analisti, suggeriscono in queste ore al presidente ucraino Zelensky di arrendersi. Davanti alla supremazia dell'esercito russo, in procinto di lanciare l’assalto finale a Kiev, forse non resta che accettare le condizioni imposte da Putin per fermare la guerra. L'alternativa è il proseguo dei combattimenti e della violenza, dei morti innocenti, dei bambini sotto le macerie e dei profughi che a migliaia continueranno a fuggire disperati e ad ammassarsi alla frontiera. La battaglia per Kiev sarà sanguinosa e costerà migliaia e migliaia di morti. Anche Zelensky ha dichiarato in queste ore che “per prendere Kiev dovranno raderla al suolo.” Combattimenti per le strade, casa per casa, fino alla probabile resa ucraina. I soldati russi troveranno la difesa disperata ma agguerrita di un popolo aggredito ma non piegato, che potrà anche avere la meglio. Ma il prezzo in termini di perdita di vite umane è incalcolabile. Nella storia non mancano certo esempi di strenua difesa della propria città ad ogni costo. La battaglia di Stalingrado, fra l'estate del 1942 e il febbraio del 1943, decretò certamente l’inizio della fine del terzo reich nazista, ma costò la vita a circa un milione di persone, fra militari e civili. I paesi della Nato e le cancellerie europee sbraitano e giustamente si indignano, minacciano ed intensificano le sanzioni economiche, ma nulla possono sul piano strettamente militare. La no-fly zone, richiesta con insistenza da Zalensky, rappresenterebbe solo il preludio ad un allargamento del conflitto con esiti imprevedibili e forse catastrofici. Il primo caccia russo che sconfinasse e fosse abbattuto dalla Nato sancirebbe l'entrata in guerra dell'alleanza atlantica, Italia compresa. E una guerra fra due schieramenti che possiedono ingenti arsenali atomici, porterebbe a possibili esiti apocalittici. Altro che aumento del prezzo del gasolio. Possiamo continuare ad inviare armamenti, sistemi di difesa, missili anticarro, ma si rischia solo di intensificare i combattimenti. Difendete il proprio paese, le proprie case e i propri figli è certamente un dovere. Ma forse per Zalensky e soprattutto per il martoriato popolo ucraino, la resa sarebbe la scelta meno dolorosa, almeno in questo momento. Una resa non disonorevole, ma comunque una resa. Ma se questa scelta significasse salvare qualche migliaia di innocenti non può essere esclusa a priori. Non è facile chiedere ad un popolo di arrendersi, di piegarsi alle prepotenze e alle violenze di un invasore. Forse è impossibile da accettare.

La storia della contrapposizione fra la Russia e l'Ucraina ha radici profonde e drammatiche e anche relativamente recenti. Risale agli anni 30 del secolo scorso una delle grandi tragedie dimenticate che colpirono l’Europa e in particolare l'Ucraina. La chiamano “Holodomor”, la terribile carestia artificiale che fra il 1932 e 1933 costò la vita a circa 4 milioni di ucraini. Alcuni storici lo definiscono il “genocidio per fame”, il deliberato sterminio perpetuato dal regime sovietico di circa un quarto della popolazione rurale dell'Ucraina rea di non essersi sottomessa al sistema della proprietà collettiva e per questo punita nella maniera più crudele. Ancora oggi le cause e il coinvolgimento dell’Urss di Stalin in questa carestia sono comunque fonte di discussione. L’Unione Europea ha adottato, nell'ottobre 2008, la risoluzione n°2008/2642 in cui “riconosce l'Holodomor (la carestia artificiale del 1932-1933 in Ucraina) quale spaventoso crimine contro il popolo ucraino e contro l'umanità, condanna con forza questi atti, diretti contro la popolazione rurale ucraina e connotati dall'annientamento di massa e da violazioni dei diritti dell'uomo e delle libertà ed esprime la sua solidarietà con il popolo ucraino, vittima di questa tragedia, e rende omaggio a quanti sono morti come conseguenza della carestia artificiale del 1932-1933”. In un post che compare in queste ore su facebook, una ucraina ricorda la storia di suo padre, sopravvissuto a questa carestia. “La gente soffriva di allucinazioni, si moriva per strada, nelle case, nei campi vuoti, per la fame. Nel 1933 più di mille persone morivano ogni ora per la fame”. Lo storico inglese Robert Conquest lo ha considerato il più imponente sterminio della storia europea del XX secolo dopo l’Olocausto. La tragedia ebbe inizio quando Stalin, tra l'autunno del 1932 e la primavera del 1933, decise la collettivizzazione agraria, costringendo anche i kulaki, i contadini agiati, ad aderirvi contro la loro volontà. La studiosa Anne Applebaum, editorialista del Washington Post e grande esperta di storia russa, spiega che la carestia non fu causata dalla collettivizzazione, ma fu il risultato della confisca del cibo, dei blocchi stradali che impedirono alla popolazione di spostarsi, delle feroci liste di proscrizione imposte a fattorie e villaggi. Viene raccontato di casi di cannibalismo, di totale estinzione di cani e gatti, di scomparsa della popolazione di interi villaggi, con i carri per il trasporto dei defunti che raccoglieva anche i moribondi e poi li seppelliva ancora vivi. Le epidemie si diffusero e quasi la metà delle vittime era costituita da bambini. La descrizione della fame contadina nel libro postumo del 1970 “Vita e destino” dello scrittore di origine ucraina Vasilij Grossman ha qualcosa di terribile ed atroce che è addirittura difficile citare tanto è l’orrore dei sui racconti su quanto accadde nelle case e nelle campagne ucraine durante Holomodor. Un popolo, quello ucraino, che sembra non riuscire a trovare pace, perseguitato fin dai tempi degli Zar, prima della rivoluzione bolscevica, che perpetuarono una politica di russificazione delle terre ucraine. E non da ultimo va ricordata la devastazione dell’Ucraina dopo l’arrivo dei tedeschi nel 1941, con un milione di ebrei assassinati dalle Einsatzgruppen e dalla Wehrmacht. Nella sola Odessa furono massacrati 50.000 ebrei.

Non è dunque facile, forse addirittura impossibile o peggio ingiusto, chiedere al popolo ucraino di arrendersi e accettare le prepotenti imposizioni di Mosca. Forse dovrebbero invece continuare a combattere senza mai arrendersi. Ma la posta in gioco è davvero troppo alta e se non si ferma presto questa guerra, il rischio di esiti catastrofici si fa sempre più possibile, e non solo per il popolo ucraino.